lunedì 29 luglio 2013

SAPORI DI MONTAGNA

Oggi un signore gentile mi ha regalato un cestino di lamponi del suo orto. Non potevo ricevere regalo più gradito.
Io adoro i lamponi. Mi piacciono al naturale, sul gelato, con lo yogurt bianco ma sono deliziosi anche con della ricotta fresca, magari di malga, e pochissimo zucchero.
Però con quel gusto un po’ acidulo trovo stiano bene anche nelle preparazioni salate.
Come la tagliata di tonno che ho preparato tempo fa (se volete la potete trovare QUI).

Infatti mi è subito venuta in mente una ricetta che avevo segnato sul mio quaderno non so più quando.  So di averla trovata in una vecchia rivista, ma non ricordo quale. Forse un vecchio numero de “La Cucina di Casa Mia”, ma non sono sicura.

Se non ricordo male faceva parte di un articolo che parlava di lamponi, di formaggi di malga, di estate in montagna insomma. Credo che sia una ricetta tipica delle nostre Alpi o comunque ispirata a qualche ricetta tradizionale. Se qualcuno la riconosce mi faccia sapere la sua provenienza.

L’avevo tenuta perché mi aveva colpito l’uso dei lamponi nel ripieno dei ravioli, lo trovavo un accostamento insolito e particolare, almeno per me che non ero solita usare la frutta nei piatti salati.
Ma da qualche tempo mi sono ricreduta, e devo dire che certi accostamenti non sono niente male, anzi!

Quindi sono andata a riprendere questa ricetta, che è molto semplice in realtà.
Richiede solo un po’ di tempo per la pasta, che è fatta con le patate, tipo gli gnocchi ma più asciutta. E ci vuole un po’ di pazienza per confezionare i tortelli.
Io li ho fatti a mano, tirando la sfoglia col mattarello ma credo che con la macchina per tirare la sfoglia venga bene ugualmente, anzi rimarrà più sottile, la prossima volta provo così.
Il ripieno invece si prepara in un attimo e il condimento è pronto mentre l’acqua bolle.

 
 
 
 


 

TORTELLI DI PATATE CON RICOTTA E LAMPONI.

Per la pasta:
300g di patate,
300g farina 00  abbondante (io ho usato 200g di farina 00 e 100g semola),
1 uovo.

Per il ripieno:
300g ricotta fresca,
100g ricotta stagionata,
50g pecorino grattugiato,
1 uovo,
100g lamponi freschi,
2-3 rametti di timo limoncino,
un pizzico di noce moscata.

Per il condimento:
100g lamponi,
burro,
salvia,
timo limoncino,
zucchero,
aceto balsamico (o glassa al balsamico).

Lessate le patate, sbucciatele e passatele allo schiaccia patate.  Impastatele ancora tiepide con l’uovo e la farina. Deve venire un impasto morbido ma più asciutto di quello per gli gnocchi e non appiccicoso, se occorre unire altra farina.
 
Intanto che cuociono le patate preparate il ripieno: mescolate la ricotta con l’uovo, il pecorino, la ricotta stagionata grattugiata e le foglioline di timo. Aggiustate di sale e pepe.

Unite i lamponi ben lavati e tagliati grossolanamente, mescolate bene.

Stendete la pasta sottile con il mattarello o con la macchina apposita. Deve essere un po’ meno fine di quella per i ravioli di pasta all’uovo.

Distribuite il ripieno con un cucchiaino e ritagliate dei tortelli con un tagliapasta a piacere. Io ne ho fatti alcuni tondi e qualcuno l’ho ripiegato tipo i cappellacci di zucca.
 
 
 
 

Preparate il condimento: fate saltare i lamponi e con un cucchiaino di burro in una padella, quando sono morbidi unite un cucchiaino di zucchero e  schiacciateli con una forchetta.

Unite le foglioline di un rametto di timo e sfumate con un cucchiaio di aceto balsamico, meglio ancora con la glassa.

Lessate i tortelli al dente e fateli delicatamente saltare in una padella con abbondante burro e salvia per un paio di minuti.

Serviteli nei piatti con la salsina ai lamponi e una grattugiata di ricotta stagionata. Guarnite se volete con lamponi freschi e foglioline di salvia.




 
 
 
 
 
Con questi ingredienti ho preparato circa una sessantina di tortelli. Visto che sono belli corposi, bastano per 5 persone, anche 6 se si mangia anche del resto.

Noi eravamo solo in due a pranzo, quindi ne ho congelati una parte, su un largo vassoio. Poi li ho messi in un sacchetto. Vanno cotti ancora congelati in abbondante acqua salata.  Spero solo che non diventino molli in cottura, visto che con gli gnocchi a volte succede.
 
 
 
Mi unisco alla splendida iniziativa di Federica di The Fashion Pancake 
Mi è piaciuta l'idea di conoscere altri blog, non necessariamente di cucina, perchè ci si possono scambiare idee e opinioni e magari trovare tante nuove amiche.
Io aspetto tutti a braccia aperte. Grazie Federica per quest'opportunità.

 
 
 
 
 

sabato 27 luglio 2013

IL PESTO, IL MUGUGNO E IL COMPLEMENTO DI SPECIFICAZIONE

Sto per dire una cosa che mi attirerà gli strali di molti liguri. Pazienza. Correrò il rischio. Il pesto non è solo quello ligure … non sono stata colpita dal fulmine di Capitan Basilico, quindi posso continuare.

Volevo dire che per molti di noi, popolo del mugugno, il pesto è solo IL PESTO, cioè quello alla genovese o ligure che dir si voglia. Certo, se si parla di Pesto con (quel) complemento di specificazione allora è senz’altro così. Si deve fare con basilico, pinoli, pecorino, parmigiano, olio, sale e sissignori AGLIO. Il pesto senz’aglio non è ligure, in qualche gastronomia lo vendono ma è etichettato “PER TURISTI”.
Come non è pesto ligure se ci si mette il burro o il prezzemolo.

Ma la parola pesto da sola significa semplicemente un composto pestato, appunto, nel mortaio fino a ridurlo in una salsa omogenea. Che poi in casa quasi nessuno abbia più il mortaio e si usi il frullatore con risultati più che soddisfacenti, è un altro discorso.

Infatti esiste un egregio pesto siciliano, che è un’altra cosa certo, per forza è siciliano, non ligure.  Ma non credo sia un’eresia chiamarlo anche questo pesto, usiamo semplicemente il complemento di specificazione e finiamola li.

Se poi nel mio pesto di basilico voglio metterci anche capperi e acciughe, o prezzemolo e noci, va bene lo stesso. So benissimo di non fare il pesto ligure. Magari è buono ugualmente, magri poi mi piace di più.

Perché faccio tutta questa tiritera?

Perché in questo momento il mio paesino di montagna tanto carino è invaso da villeggianti, tutti liguri, tutti di età piuttosto avanzata. Dovete sapere che per noi liguri il mugugno, cioè la lamentela-critica, è insito nel dna. Ma ad una certa età (non tanto distante dalla mia, in verità) e fuori dal territorio originale assume proporzioni ingombranti.
Quindi si inizia col criticare la focaccia che:”qui in Piemonte non sono capaci a farla, non è mica buona come a Genova, Savona ecc.”… ma va? Sarà mica perché non è focaccia ligure?
Ma perché la devi comprare allora!

Si continua con qualsiasi cosa capiti a tiro: le mucche sui prati, le aiuole “ che ci hanno dato il veleno e i cani poi si intossicano!” ( ma i cani non devono andare nelle aiuole), i bambini che giocano in piazza e fanno casino, la musica forte nei locali alla sera “addirittura fino alle 23.30, è inaudito!” oppure “ma qui non sono capaci di organizzare le sagre come da noi!”, e così via.

Poi c’è sempre qualche signora che la sa più lunga e si intromette su tutto:

“Compra la rucola per fare il pesto? Ma questa non l’ho mai sentita. Ma lei che è ligure, lo deve sapere come si fa il pesto!”

LO SO fare il pesto LIGURE (comp. di specificazione)! Infatti io oggi faccio il pesto DI RUCOLA!

Ed è anche buono!

 

 
 
 
 
 
 

PESTO DI RUCOLA, ERBE AROMATICHE E POMODORI SECCHI:

Ingredienti:
100g rucola,
una manciata di foglie di basilico,
3-4 rametti di prezzemolo,
2 rametti di maggiorana,
qualche stelo di erba cipollina,
3 pomodori secchi sott’olio,
1 cucchiaio di pinoli,
2 cucchiai di parmigiano,
2 cucchiai di pecorino,
sale grosso,
olio extra vergine di oliva.

Lavate la rucola e le altre erbe aromatiche. Spezzettatele con le mani e mettetele nel frullatore con i pinoli, i pomodori secchi sgocciolati e tagliati a pezzetti, un cucchiaio di olio e un pizzico di sale grosso. Azionate il frullatore unendo man mano i formaggi e altro olio a filo, finché non si ottiene un composto omogeneo.

Con questi ingredienti si ottiene  un vasetto di pesto da circa 170g. Se non si usa tutto bisogna conservarlo in frigo coperto da uno strato d’olio e consumarlo entro qualche giorno. Altrimenti si può congelare.

 
 
 
 

 

GARGANELLI AL PESTO DI RUCOLA CON POMODORINI E FETA

Ingredienti per 4 persone:
320g garganelli all’uovo,
4 cucchiai di pesto di rucola,
20 pomodorini datterini,
feta oppure ricotta salata.

Tagliate i pomodorini a metà, salateli leggermente e fateli sgocciolare.
Lessate i garganelli al dente, scolateli e conditeli con il pesto e i pomodorini.
Completate con feta a dadini o sbriciolata. Oppure con la ricotta salata grattugiata grossa. Ci stanno bene entrambe. Ma anche mozzarella o scamorza non sono da meno.

 

 
 
 
 

IDEA PER FAR BELLA FIGURA:
Cospargete i datterini con una panatura fatta con pangrattato e origano (vanno molto bene anche dei crackers sbriciolati bene)
Mettete i pomodorini su una placca da forno e fateli gratinare sotto  il grill finché non sono ben dorati e croccanti. Uniteli alla pasta.

PROPOSTA N°2:
Invece della pasta usate dei gnocchetti di ricotta e robiola, la ricetta la trovate QUI.
Ci vuole solo una mezz’oretta in più, ma visto che il pesto lo si può preparare in anticipo, si possono fare.

 
 
Ripensando a tutto quello che ho detto mi viene in mente una considerazione: perché  qualcuno decide (perché lo decide non è costretto) di passare ogni estate in un posto, o addirittura di trasferirsi li stabilmente, se di quel posto non apprezza nulla?

La mia vita mi ha portato a fare vari traslochi, anche molto lontano da casa, ma non ho mai fatto paragoni con il posto dove sono nata. Non si può, è ovvio che ci siano delle differenze.

Credo che bisogna sempre adattarsi al luogo in cui si vive, soprattutto quando si sceglie di vivere li. Ci saranno senz’altro cose negative, come ovunque però, ma tante saranno buone e qualcuna persino migliore che in altri posti.

Finito lo sfogo. Buona domenica a tutti. Anche ai villeggianti e "immigrati" mugugnoni!

mercoledì 24 luglio 2013

RIPIENI DAY

Ci sono giorni che ho tante cose da dire, a volte troppe, altri che mi siedo al computer e ogni cosa che inizio a scrivere mi sembra banale, già detta.

Oggi è uno di quei giorni. Sarà il caldo, che qui in montagna non è usuale, a mandarmi in ebollizione il cervello. Sarà che oggi ho un po’ trafficato.

Così passerò subito a raccontarvi della mia ricetta di oggi. Le verdure ripiene alla Ligure.
O meglio le verdure ripiene come da ricetta di famiglia. La mia.
Infatti ognuno le fa come vuole e le ricette subiscono mille varianti. Tutte incredibilmente gustose.

La ricetta che seguo io è quella per così dire “di magro”, cioè con sole verdure anche nel ripieno. Che poi è forse una versione un po’ più campagnola, quando le famiglie avevano in abbondanza verdure, erbe aromatiche, uova, pane secco e formaggio. Carne e salumi erano troppo rari e preziosi per essere utilizzati in un piatto “da tutti i giorni”.

Oggi nonostante il caldo mi sono cimentata in questo piatto, anche perché avevo tante verdure fresche dell’orto e sebbene sia una ricetta un po’ lunga, poi permette di vivere di rendita per almeno due giorni. Si perché i ripieni, come li chiamiamo noi, sono anche più buoni freddi, il giorno dopo. Perfetti da portare in spiaggia, al lavoro, persino nel panino!

Veniamo al dunque:

 

 
 
 
 
 
 
 
 

VERDURE RIPIENE  DI MAGRO ALLA LIGURE:

Ingredienti:
10-12 zucchine chiare,
3-4 patate medie,
200g fagiolini,
2 peperoni piccoli, giallo e rosso,
1 grossa cipolla rossa,
2 uova,
grana grattugiato,
pecorino grattugiato,
pangrattato,
maggiorana,
prezzemolo,
noce moscata, sale,
olio extra vergine d’oliva.



 
 
 
 
 


 
Lessate i fagiolini in acqua salata. Lessate anche le patate, sbucciatele e schiacciatele con lo schiacciapatate. Tagliate le zucchine a metà nel senso della lunghezza e poi a pezzi lunghi 5-6cm circa, lessatele in acqua salata finché son morbide ma non troppo molli.

Tagliate i peperoni a falde e poi a pezzi lunghi come le zucchine. Tagliate la cipolla a metà e poi staccate gli strati ricavando delle coppette, se sono troppo grandi tagliatele ancora a metà.  Con la parte centrale della cipolla preparate un trito molto fine insieme a qualche rametto di prezzemolo.

Rosolate il trito di cipolla in poco olio e fatelo stufare a fuoco dolce, nel frattempo tritate finemente i fagiolini e uniteli al trito.

Svuotate delicatamente le zucchine con un cucchiaino o un coltellino, cercate di togliere quanta più polpa potete. Tritate l’interno delle zucchine finemente e fatelo asciugare per 2 minuti nella padella con il trito di cipolla e fagiolini.

Unite tutto alle patate schiacciate, aggiungete le uova sbattute, 4-5 cucchiai di grana, 2 cucchiai di pecorino, un pizzico di noce moscata e pane grattugiato fino ad ottenere un composto piuttosto asciutto. Non deve essere molle. Aggiustate di sale.

Ungete d’olio una teglia, riempite le verdure con il ripieno e adagiatele via via nella teglia. Cospargete con pangrattato e infornate a 200° per circa 30 minuti, devono gratinare.

 
 
 
 
 
 
 

Se avete preparato troppo ripieno, a volte capita, potete usarlo per preparare delle polpettine. Passatele nel pangrattato e friggetele, o cuocetele in forno come le verdure.

Oppure preparate degli hamburger vegetariani da cuocere su una piastra ben calda, però assicuratevi che il composto sia ben sodo e asciutto, eventualmente unite altro formaggio e pangrattato.

Visto che la preparazione di questo piatto richiede un po’ di tempo e visto che questo è il periodo in cui c’è una grande quantità di materia prima, di solito mi sacrifico per una giornata e preparo verdure ripiene in abbondanza. Poi le congelo. Le sistemo nelle teglie di alluminio, già pronte per essere infornate, quando mi servono le inforno ancora congelate, mentre il forno si sta ancora scaldando. Da quando il forno è in temperatura calcolate sempre circa 30 minuti.

Mia mamma invece le congela sopra dei vassoi come per i ravioli, poi le mette nei sacchetti di plastica, così tengono meno spazio in freezer. Anche in questo caso si mettono nella teglia e si infornano ancora congelate.




domenica 21 luglio 2013

STOCCAFISSO, BACCALÀ E LA SINTESI.

Baccalà e stoccafisso sono due capisaldi della cucina ligure, questo si sa. Ma in realtà sono un po’ comuni a molte cucine, italiane e non. Tanto che capita che venga contesa la paternità di qualche piatto.  Uno di questi piatti è la “Brandade di stoccafisso” o “brandade de morue”, per dirla alla francese che fa tanto fine, appunto di presunta origine provenzale.

Presunta perché in Liguria, nel ponente ligure per la precisione, lo stesso piatto esiste da tempi lontani e prende il nome più prosaico di “Stoccafisso alla Brandacujun”, dove branda deriva da brandare ossia scuotere, mescolare e cujun … beh … non c’è bisogno di dire da quale termine derivi, è abbastanza ovvio e comunque sta a indicare una persona non proprio sveglia. Cioè il membro della famiglia che, non essendo dotato di molte abilità , veniva incaricato di mescolare lo stoccafisso nella pentola durante la sua lunga cottura.

Ma lo stoccafisso mantecato con il latte si trova anche in Veneto e in Portogallo, pur con qualche differenza. Tutti si proclamano inventori della ricetta.

Io non credo si potrà mai stabilire la verità, perché queste ricette, guarda caso sono nate nelle comunità di pescatori o marinai e con essi hanno viaggiato ovunque, quindi chi ha portato cosa e dove?

Io continuo a prepararlo senza pormi troppe domande e non solo con lo stoccafisso, ma anche con il baccalà, che è più facile da reperire e da preparare, ma rende altrettanto bene.

Mi piace anche d’estate, perché anche se la cottura è un po’ lunghetta, in realtà non richiede troppe preparazioni complicate e si cuoce da solo a fuoco basso.

Inoltre è buono tiepido, come antipasto o in un buffet, con crostini, pane tostato, da provare il pane carasau sardo. Anche come piatto unico con delle verdure a vapore di contorno, o una bella insalata.

L’ho preparato qualche sera fa. Mentre stavo spellando e pulendo il baccalà si è avvicinato mio figlio, incuriosito. Mi chiede:” mamma, cosa stai preparando?”

“la Brandade di baccalà”… sguardo perplesso … “Non so se mi piace, cos’è?”

“Ma si, è baccalà con patate, cotti con aglio e latte fino a diventare una crema”

“Ah! In pratica un purè di pesce! Ok allora va bene, lo mangio!”

Ecco. Mio figlio ha il dono della sintesi. Fine delle contese campaniliste.

Le nuove generazioni fanno ben sperare.

 

 



 

BACCALÀ ALLA “BRANDACUJUN”.

400g baccalà,
400g circa di patate,
2-3 spicchi d’aglio,
latte,
olio extra vergine d’oliva,
pepe, sale.

Dissalate il baccalà lavandolo bene e lasciandolo in ammollo per 24 ore circa in acqua fredda, cambiantela ogni tanto.

Sbollentate il baccalà in acqua bollente per un paio di minuti, scolate e spellate bene togliendo tutte le lische. Tagliate il pesce a pezzettini.

Sbucciate le patate, tagliatele a pezzettini e cuocetele per qualche minuto nell’acqua dove è stato lessato il baccalà. Scolate le patate e metterle in un tegame meglio se di coccio con due cucchiai di olio e il baccalà.

Unite l’aglio tritato o spremuto, rosolate per un minuto poi aggiungete un bicchiere di latte caldo, qualche cucchiaio di acqua di cottura del baccalà e abbassate il fuoco al minimo.

Cuocete a fuoco basso per almeno un’ora, mescolando di tanto in tanto, unendo se occorre dell’altro latte caldo e acqua. Finché il pesce e le patate si sfaldano e formano un composto cremoso, ma con ancora qualche pezzetto di patata e pesce, ci si può aiutare con una forchetta, all’ultimo alzate il fuco e mantecate vigorosamente per farlo asciugare. Completate con una macinata di pepe e un filo d’olio crudo.

A piacere cospargete di prezzemolo tritato e guarnite con olive taggiasche snocciolate.

Servite con pane tostato, crackers, focaccia, ma è buonissimo con il pane carasau sardo.

Potete accompagnare con verdurine a vapore, per esempio fagiolini e asparagi.



 

domenica 14 luglio 2013

LAVANDA, LIMONE E LA MAMMA APPRENSIVA.

Mio figlio è diventato grande e non me ne sono accorta.
Ieri era un bimbo timido e molto mammone, ora gironzola per il paese in bicicletta con gli amici e la mamma deve possibilmente evitare di farsi vedere a parte all’ora della merenda.
Il passaggio è stato così repentino che non me ne sono nemmeno resa conto.

Ora è uscito, aveva l’appuntamento con gli amichetti al campetto. Gli avrò fatto tipo tremila raccomandazioni e stò lottando con me stessa per non uscire e andargli dietro.
Anche dai nonni si è fatto la sua compagnia di bambini che lo chiamavano ogni giorno per andare a giocare a calcio, al fiume a pescare o al parco giochi.
È giusto dargli un po’ di fiducia e autonomia, in fondo se non lo facciamo noi che viviamo in un piccolo paese, dove tutti si conoscono e c’è poco traffico … chi lo può fare?

Poi ormai ha quasi nove anni … quasi, tra poco, ma sono ancora otto … è ancora così piccolo!!!
No, devo darmi un contegno … magari più tardi faccio una passeggiata col cane e capito PER CASO nei pressi del campetto!! Sono incorreggibile!

Avevo giurato che non sarei stata una di quelle mamme apprensive che si rifiuta i vedere crescere il figlioletto. Che poi se questi vengono su completamente imbranati e senza un briciolo di spina dorsale la colpa è in gran parte dei genitori, mammina in testa, che non tagliano mai sto benedetto cordone. Poi le mogli si lamentano che i mariti continuano a essere succubi di mammina!

Nel mio caso non posso dire di avere questo problema: mio marito è andato via di casa presto e mia suocera non si può proprio definire ingombrante e apprensiva. Ma d’altro canto nella mia famiglia siamo tutti un po’ apprensivi, diciamo pure che l’ansia è insita nel nostro codice genetico. Figurarsi che mia madre riusciva a dirmi “vai piano” anche quando prendevo il treno per andare a scuola, e ho detto tutto. Quindi io, come madre di maschio pre-adolescente, devo darmi una bella regolata!

Sono finalmente tornata a casa e ho ripreso possesso della mia cucina.
Non che al mare non sia stata bene, per carità, ma è bello anche tornare a casa, perché in fondo è questa per adesso la mia sede principale.
La casa in Liguria è ancora in divenire, prima o poi ci trasferiremo, ma per ora siamo in montagna e mi godo la situazione, poi si vedrà.

Perlomeno qui, sul cocuzzolo della montagna, c’è una linea internet più che soddisfacente, mentre in questi giorni mi sentivo isolata dal mondo e piuttosto frustrata perché non sono riuscita a postare niente, mentre la mia mente contorta e le mie manine hanno continuato a produrre.

Soprattutto perché ho potuto godere della verdura fresca dell’orto di mio papà e devo dire che sono tornata carica di cassettine e borse frigo … quindi ora avrò anche il mio bel daffare per congelare il congelabile.

Intanto vi do una ricettina facile e veloce, come sempre del resto.
Ho preso spunto da una ricetta di Cucina Moderna Serie Oro- crostate e biscotti di qualche anno fa, ma l’ho un po’ modificata, ça va sans dire, altrimenti non sarei più io.

Ho aggiunto anche i fiori di lavanda, perché in questi giorni erano in piena fioritura e me ne sono portata un bel mazzo in montagna. Per me sono il simbolo dell’estate e del mio paese natale.
Poi mi ha sempre incuriosito il loro uso in cucina, ma non ho mai provato.

Mi sono decisa a provare anche spinta dalla sfida di Luglio di Colors & Food: vola e giallo. Scelta molto intrigante, quindi ho provato subito.
L’abbinamento con la crema al limone si è rivelato molto felice: il profumo della lavanda rimane accennato, mitiga l’asprezza del limone insieme alle mandorle senza prevaricare.

 

 
 
 
 
 

 

CROSTATINE CON CREMA DI LIMONE E LAVANDA.

Per la pasta brisèe di ricotta e mandorle:
250g farina00,
200g ricotta,
150g zucchero,
60g mandorle pelate,
1 cucchiaino di lievito in polvere,
un pizzico di sale.

Per la crema:
2 dl panna fresca,
2 uova,
120g zucchero,
50g mandorle pelate,
1 cucchiaio di maizena,
1 limone grande (non trattato),
1 bustina di vanillina,
3-4 spighe di lavanda fiorite.




 
 
 
 


Innanzi tutto preparare la pasta brisèe: tritare nel mixer le mandorle con un cucchiaio di zucchero, molto finemente.

Impastare la farina con tutti gli altri ingredienti, unendo se occorre poca acqua fredda.

Avvolgere l’impasto nella pellicola e mettere in frigo per mezz’ora.

Nel frattempo preparare la crema: tritare molto finemente le mandorle con un cucchiaio di zucchero. Scaldare la panna con due spighe di lavanda ben lavate e asciugate, spegnere e lasciare in infusione finché è fredda, poi eliminare la lavanda.

Sbattere le uova con lo zucchero e la vanillina, unire le mandorle e la scorza del limone grattugiata. Spremere il limone, filtrare il succo e unirlo alle uova insieme alla panna.

Imburrare gli stampini da cartelletta o degli stampi per crostatina; stendere la pasta sottile e foderare gli stampini.  Riempire la pasta con la crema e distribuire a piacere qualche fiorellino di lavanda.

Infornare a 180° per circa 20 minuti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Con questa ricetta partecipo alla sfida di Luglio di Colors & Food : vola e giallo.

mercoledì 3 luglio 2013

WELSH POT

Ho comprato un libro molto carino:

IL PANE FATTO IN CASA.

Le autrici sono inglesi (Christine Ingram e Jennie Shapter) e raccontano la storia del pane, dall’antichità ai giorni nostri, ma fanno anche un’ampia panoramica sulle varietà di pane di tutto il mondo (o quasi) passando per una dettagliata sezione dedicata alla scelta degli ingredienti, attrezzatura, tecniche di impasto, lievitazione e cottura. Infine si passa alle ricette, più di cento, di ogni parte del mondo.
Ad una rapida occhiata mi sembrano tutte affidabili, tenendo conto come termine di paragone le ricette italiane.

Come sempre, la mia attenzione è stata attratta dal pane “straniero”, mi piace sapere come mangiano “gli altri”, soprattutto se si tratta di pane.
Anche perché adoro mangiarlo ma ancora di più impastarlo.

L’impasto per me è terapeutico: sentire l’odore della farina e del lievito, la diversa consistenza e temperatura degli ingredienti che pian piano si amalgamano sotto le mani e prendono corpo.
Tutto questo mi rilassa e mi svuota la testa. Quando ho qualche pensiero io impasto.
Poi non sempre riesce tutto bene, perché poi bisogna fare i conti con la cottura che a volte non è perfetta, ma va bene lo stesso. Non si dice  sempre che l’importante non è la meta ma il viaggio? … consoliamoci così, va!

Tornando al libro, mi è caduto subito l’occhio su un tipo di pane molto particolare: il pane gallese cotto nei vasi d’argilla, Welsh Pot appunto. Proprio così: è cotto nei VASI DA FIORI.

La tradizione è antica e risale a quando le famiglie in campagna non avevano tutte un forno per cuocere il pane, così facevano cuocere l’impasto nei vasi di argilla posti su un treppiede nel focolare, circondati dalle braci. Praticamente i vasi fungevano da forno.

Oggi, sebbene sia raro, qualche forno o ristorante usa questa tecnica per cercare di mantenere viva la tradizione. Almeno questo è ciò che si legge in questo libro.
Io non potevo non provare subito, quindi ho comprato dei vasetti nuovi e mo sono lanciata.
Nella ricetta si parla di vasi medi, di circa 14cm di diametro, ma io ho preferito vasetti più piccoli da 5cm, praticamente monoporzione, per praticità e per una migliore cottura, almeno per il mio forno.

Inoltre mi è venuta l’idea che questi panini nei vesetti potevano essere utilizzati come simpatici segnaposto commestibili. Magari decorati a seconda dell’occasione.

La ricetta che ho seguito è per panini salati e aromatizzati alle erbe, me nessuno vieta di cuocere nei vasi anche un pan brioche dolce, per una colazione un po’ particolare, magari quando si hanno ospiti.

Prima di dare la ricetta occorre saper come si devono pretrattare i vasi: dopo averli lavati con acqua calda e sapone di marsiglia, si risciacquano e si lasciano in ammollo in acqua e bicarbonato per qualche ora.

Si asciugano e si spennellano di olio d’oliva dentro e fuori, poi si mettono in forno a 200° per 30 minuti.  Ripetere l’operazione altre due volte. Si possono infornare mentre si sta cuocendo dell’altro. Non occorre farlo appositamente.

 
 
 
 



PANE GALLESE NEI VASI DI ARGILLA

350g farina00,
150g farina integrale,
150ml latte,
100ml acqua,
20g lievito fresco,
2 cucchiaini di zucchero,
2 cucchiaini rasi di sale,
50g burro (io ne ho messi solo 25g),
2 cucchiai di erbe aromatiche tritate (salvia, prezzemolo, erba cipollina)
1 spicchio d’aglio tritato finemente (io non l’ho messo, ma solo perché l’ho scordato).

 
Sciogliere il lievito con lo zucchero, nel latte e acqua tiepidi. Unire 3 cucchiai di farina e preparare una pastella fluida. Far riposare 15-20 minuti, la pastella deve quasi raddoppiare.

Mescolare la farina con il sale, unire la pastella, il burro fuso e le erbe tritate. Impastare energicamente per ottenere un impasto morbido ma omogeneo e non appiccicoso.

Far lievitare 2 ore in una terrina coperta con un piatto.

Ungere bene i vasetti e dividere l’impasto in modo che siano riempiti per i 2/3. Io veramente ho fasciato i vasi con della carta forno umida (almeno per i primi utilizzi). Coprire con un telo e lasciar riposare 30 minuti.

Spennellare la superficie con acqua e latte, infornare a 180° per 20-30 minuti.

Una volta tirati fuori dal forno si lasciano intiepidire coperti con un canovaccio così la crosticina non si secca troppo.

Le erbe aromatiche si possono variare a piacere e sostituire con semi vari, o omettere del tutto.

Con la pasta avanzata ho fatto dei semplici panini.

La prossima volta voglio prepararne una versione dolce, con la pasta brioche, magari con le gocce di cioccolato oppure con uvetta e cannella. Per una colazione un po’ meno frettolosa del solito … o per un brunch … che fa tanto vip.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Con questa ricetta partecipo al contest di Chiacchierecucina: Cucina dal Mondo.